Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/391

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NOTTE CXVI


— «Commendatore de’ credenti,» proseguì il visir Giafar, «meravigliato Agib all’udir parlare Bedreddin così, rispose: — Parmi siavi eccesso nell’affetto che mi dimostrate, e non voglio entrare in casa vostra, se non v’impegnate con giuramento di non seguirmi quando ne sarò uscito. Se me lo promettete, e se sarete uomo di parola, tornerò a trovarvi domani ancora, mentre il visir mio nonno comprerà di che far dono al sultano d’Egitto. — Mio signorino,» ripigliò Bedreddin, «farò in tutto la volontà vostra.» Allora, Agib e l’eunuco entrarono in bottega.

«Bedreddin subito servì loro una torta di crema, non men dilicata e squisita di quella ad essi presentata la prima volta. — Venite,» gli disse Agib, «sedete qui vicino, e mangiate con noi.» Sedutosi Bedreddin, volle abbracciare Agib per dimostrargli la propria allegrezza al vedersi al suo fianco; ma il ragazzo lo respinse, dicendo: — State cheto; è troppo risentita la vostra amicizia. Contentatevi di guardarmi, o divertirmi.» Bedreddin obbedì, e si mise a cantare una canzone, di cui compose sul momento i versi, in lode di Agib. Nè mangio egli, altro non facendo che servire gli ospiti. Quand’ebbero finito di mangiare, presentò loro da lavarsi (1), ed un nitido tovagliolino per asciugarsi le mani. Preso poi un vaso di sorbetto, ne preparò loro piena una

  1. Siccome i Maomettani si lavano le mani cinque volte al giorno; quando fanno la loro preghiera, non credono aver bisogno di lavarsi prima di mangiare, ma si lavano dopo, mangiando così senza forchetta.