Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/444

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NOTTE CXXXVI


— Sire, il mercadante cristiano, continuando a parlare al sultano di Casgar, proseguì nel modo seguente:

«Non aspettai molto nella sala,» mi disse il giovane; «la dama che amava giunse in breve ornata di perle e diamanti, ma più brillante per lo splendore de’ suoi begli occhi che per quello de’ gioielli. La sua vita, non più celata dall’abito di città, mi parve la più snella e pieghevole del mondo. Non vi parlerò della gioia d’entrambi al rivederci, essendo cosa che non potrei se non debolmente esprimere. Vi dirò solo che, dopo i primi complimenti, sedendo ambedue sur un sofà, discorremmo con tutta l’immaginabile soddisfazione. Ci furono poscia ammannite le più dilicate e squisite vivande; e messici a tavola, dopo il pranzo ricominciammo il colloquio fino a notte. Allora ci si portarono vari fiaschi di buon vino e frutta per eccitare la sete, e bevemmo al suono degli stromenti, che le schiave accompagnavano colle voci. La padrona di casa cantò anch’ella, e finì colle sue canzoni d’intenerirmi e rendermi il più appassionato degli amanti. Trascorsi in fine la notte a gustare ogni sorta di piaceri.

«La mattina seguente, posta destramente sotto il capezzale del suo letto la borsa colle cinquanta pezze d’oro da me portate, dissi addio alla dama, la quale mi chiese quando ci saremmo riveduti. — Signora,» le risposi, «vi prometto di tornare stasera.» Parve contenta della mia risposta, mi condusse fino alla porta, e separandoci, mi scongiurò di mantener la promessa.