Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/440

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zarsi con quel fardello nell’aria. Così lo trasportarono tra il cielo e la terra, facendo ogni giorno il cammino di trenta mesi, ed in fine giunsero alla capitale del re Tigmos. Trovavasi quel principe ridotto agli estremi, non restandogli più altra alternativa che di morire coll’armi in mano od arrendersi al suo mortale nimico, sicchè tutta la corte era in costernazione, e Tigmos, consunto dal cordoglio, somigliava più ad uno spettro che ad un uomo.

«— Contempla mio padre,» disse Giansciah alla principessa; «il solo suo aspetto riempie di dolore. Bisogna soccorrerlo; ordina ai geni, che portano il trono, di attaccare le truppe avversarie.» Affrettassi Scems di appagare il desiderio dello sposo, ed incaricò un genio, chiamato Kartasch, di portarle Kefid. Obbedì il genio al momento; piombò co’ compagni sull’esercito di questi, di cui fecero macello, e Kartasch, afferrato il re, lo fe’ sollevare da un altro genio in aria, mentre egli medesimo portava la strage e lo spavento nel campo nimico, prendendo mille forme diverse, ora quella d’un elefante, ora d’un leone o d’una tigre. Tigmos era sulla terrazza del palazzo, d’onde scorgeva lo spettacelo sorprendente, ed era eziandio cosa maravigliosa il vedere Kefid così sospeso in aria. Allorchè tutto l’esercito fu rotto e tagliato a pezzi, il genio Kartasch consegnò il re prigione a Tigmos, il quale lo fece gettare in oscura carcere. Da tutte le parti eccheggiavano canti di vittoria e grida di trionfo. La madre di Giansciah svenne per l’allegrezza rivedendo il figliuolo, e non sarebbe forse mai più tornata in vita, se non le avessero spruzzata in volto acqua di rose ed essenza di muschio. Quindi Tigmos, fatte aprire le porte della città, mandò da tutte le parti messi ad annunziare la clamorosa vittoria, sparse i suoi favori con rara magnanimità, e colmò di benefizi tutta la