Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/752

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miei fratelli ve la possono attestare. Fratelli,» proseguì poi, volgendosi ai due cani, «se dico qualche menzogna, alzate la testa al cielo; ma sin che dico la verità, tenete gli sguardi volti a terra.... Siamo tre fratelli,» continuò egli, cominciando la sua storia, «nati dal medesimo padre, chiamato Fazl, perchè il solo, di due gemelli posti al mondo da mia avola, che fosse vissuto; uno di questi miei fratelli si chiamava Nassir e l’altro Mansur. Prese mio padre la maggior cura della nostra educazione, e ci lasciò morendo una bellissima casa, con magazzini pieni di stoffe di seta e sessantamila zecchini in oro. Fatti al genitore magnifici funerali, gli erigemmo un monumento, e ne portammo il lutto per quaranta giorni, in capo a’ quali feci chiamare tutti i mercanti, per domandar loro se non avessero reclami da fare sull’eredità di mio padre; ma dichiararono tutti unanimi che non ne avevano, temendo troppo il Signore per levare ingiuste pretese sopra un bene che apparteneva ad orfani. — Adesso,» dissi ai miei fratelli, «bisogna fare tre parti delle ricchezze lasciate da nostro padre.» Acconsentirono essi alla mia proposta. Non è vero?» chiese Abdallah dirigendosi ai cani; ed avendo questi chinata la testa come se avessero voluto rispondere affermativamente, Abdallah continuò di tal guisa il racconto:

«— Fatto venire per regolare le nostre parti un cadì, abbandonai a’ miei fratelli i magazzini, e tenni per me la casa e la bottega. Vendettero eglino le loro mercanzie, e comprata una nave, si posero in mare. Era già un anno ch’io mi occupava del mio commercio, il quale aveva preso florido incremento, allorchè un giorno d’inverno freddissimo, in cui m’era avvolto d’una pelliccia per difendermi dai rigori della stagione, vidi giungere i miei fratelli, assiderati dal freddo, e con indosso appena una lacera camicia.