Pagina:Le opere di Galileo Galilei VII.djvu/668

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660 esercitazioni filosofiche


quasi tutti i stupori: talchè non alMitro più nobile, nè altro primo, di esso più propinquo a Iddio, massimo un che fusse senza stelle (come dicono di quel che pongono primo), dovrebbe ponersi. È re de’ pianeti il Sole, è padre de’ viventi e l’occhio principale dell’universo; son pieni di virtù e di opere gli altri pianeti: ma la loro unità dalla numerosità innumerabile delle stelle, dalla velocità del moto incomparabile è in mille guise superata da questo primo corpo celeste e divino. E chi sa, che la cagione per cui gli astrologi hanno sonniati altri cieli sopra di esso, non sia appunto un sogno? e che il moto di settemila anni, eluda loro gli vien attribuito per proprio, oltre il diurno di 24. ore, sia vero? qual età, qual speculazione, sarà senza errore giunta a tal conoscenza? Chi sa (anco quando ciò fosse vero indubitato), che avendo un moto solo semplice naturale (come conviene a i semplici corpi), non avesse gli altri due (che gli atribuiscono, del ciel cristallino e d’un altro che dicono primo mobile) per special prerogativa da intelligenze o da altre cause non conosciute? o che egli, come fra gli altri nobilissimo e men de gli altri semplice (come lo mostra la varietà grandissima delle stelle), fusse anco di moti più abondevole? Di quanti è partecipe l’uomo, se ben un solo è il suo primiero naturale? Niuna cosa però di queste asserisco irretrattabilmente; insinuo solo, e desiderarei che altri, più de gli arcani celesti (per altre professioni aggiunte alle filosofiche) intendente, si immergesse più oltre. E voi, Sig. Galileo (che anco insinuate poner la sfera stellata per primo cielo, ancorchè immobile), con le vostre matematiche ponderandola e dandolo il moto che le conviene, propalatela con ragioni per manifesta al mondo, se pur sapete, e riceverete più gloria che dell’esservi messo contro alla potentissima veemenza dell’acque che impetuose corrono per vie naturali al suo centro. Ma da questa poca di digressione torno al segno onde partii, concludendovi che dalla sfera pigrissima di Saturno non deve pervenirsi alla total immobile del ciel stellato, ma ben a lei, sì che per la somma velocità faccia pigrissima la prenominata di Saturno, per le ragioni di Aristotile sudette.

7. La quarta difficilità che voi apportato, è stata da Aristotile istesso, nel secondo del Cielo, apportata e adeguatamente soluta. Dice egli per tanto, e bene, che essendo le stelle fisse nel proprio orbe, secondo la distanza che hanno da i poli, così fanno o disegnano cerchi maggiori, ancorchè esse stelle non fussero tutte eguali; il che non solo non ò inconveniente, ma congruo e necessario. Sarebbe forse verisimile, che le maggiori in maggior circolo con maggior velocità si movessero, mentre ciascuna da sè stessa avesse il proprio moto, aggiungendovi la proporxion del vigore, nel modo che diciamo esser più veloce un veltro grande e gagliardo di un debile e piccolo; ma essendo il moto altrui, e di altri l’obiezzione, non vostra, non occorre diffondersi in più prolissa risposta. Se quelle delle quali non si dubita (che credo intendiate de’ pianeti) si movono in cerchi massimi, ciò avviene perchè sono situate lontane da i poli, il che è manifesto dal