Pagina:Le opere di Galileo Galilei VII.djvu/697

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di antonio rocco. 689


è la Terra o altro tale: e quella virtù che naturalmente operava nel discenso, impedita e conturbata, cessa dall’opra naturale, ed in suo luogo succede dalla predetta cagione la violenza con gli suoi proprii effetti; e perchè nel riflesso trameza la quiete, diventano due moti diversi, e da diverse cagionipostille 1; ed in questa maniera non è l’istcsso principio di due contrarii moti, se bene gran forza prende il violento dal naturale, che suppone per base e per fondamento, come il calor estraneo di febre sopra il nativo si fonda e si avanza, anzi dalla corruzione o alterazione di esso riceve l’essere. Chi dicesse anco, che un principio naturale è causa di naturale effetto per sù stesso, ma accidentalmente o per intoppo è anco causa del suo contrario, non avrebbe detto cose diverse molto dalle predette, ma avrebbe metodicamente parlato con la dottrina di Aristotile istesso, nell’ottavo della Fisica, al testo ottavo, ove ha queste parole formali: Alia enim movent singulariter, alla autem secundum contrarios motus, ut ignis quidem calefacit, frigefacit autem non: scientia autem videtur contrariorum esse una. Videtur igitur illic esse aliquid eiusmodi; frigidum enim cialefacit (e qui notate) versum quodammodo et abscedens; e nel secondo della Fisica, testo 30: Amplius autem eadem est causa contrariorum. Il che ho voluto apportarvi, acciò si veda che questa vostra considerazione è stata dal medesimo Aristotile fatta, non per impugnarvi con l’arme sue, che sarebbe nugacità e petizionepostille 2.

All’essempio della terra forata, io negherei liberamente e senza scrupulo alcuno che, giunta la palla al centro, seguisse il suo moto dalla parte dell’altro emisfero verso il cielo; e voi nè con ragioni nè con esperienze potreste provarlo. Quel che mi induce a negarvelo. non è ostinazione nè fuga, ma una naturalezza di questa sorte: che non saprei imnniginarmi chi la spingesse, e per qual cagione fuggisse da quel suo luogo a cui aspirava di giungere: quivi non sono impedimenti, non contrarii, non ribattenti; il moto ha il suo termine naturale.

  1. nel passar da un contrario all’altro, bisogna che medii (parlando de i moti) la quiete; ma se nel punto del regresso intercede la quiete, chi dopo di quella spigno ’l grave in su?
    se intercede la quiete, chi caccia poi in su il mobile?
  2. Quale sproposito è questo, dir di non mi voler impugnar con l’arme d’Aristotile? non vedete dunque che quest’arme favoriscon la causa mia? E che altro dico io se non che, con Aristotile, contrariorum eadem est causa, mentre dico, i moti naturale e violento, da voi tenuti contrarii, derivar dall’istessa causa?
    Questo poveretto s’annaspa. Prima vorrebbe che i miei concetti fusser falsi, e poi, se gli conosce aver qualche spirito, cerca di fargli d’altri.