Pagina:Le opere di Galileo Galilei VIII.djvu/143

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scarpello di ferro tagliente una piastra d’ottone per levarle alcune macchie, nel muovervi sopra lo scarpello con velocità, sentii una volta e due, tra molte strisciate, fischiare e uscirne un sibilo molto gagliardo e chiaro; e guardando sopra la piastra, veddi un lungo ordine di virgolette sottili, tra di loro parallele e per egualissimi intervalli l’una dall’altra distanti. Tornando a raschiar di nuovo più e più volte, m’accorsi che solamente nelle raschiate che fischiavano lasciava lo scarpello le ’ntaccature sopra la piastra; ma quando la strisciata passava senza sibilo, non restava pur minima ombra di tali virgolette. Replicando poi altre volte lo scherzo, strisciando ora con maggiore ed ora con minor velocità, il sibilo riusciva di tuono or più acuto ed or più grave; ed osservai, i segni fatti nel suono più acuto esser più spessi, e quelli del più grave più radi, e tal volta ancora, secondo che la strisciata medesima era fatta verso ’l fine con maggior velocità che nel principio, si sentiva il suono andarsi inacutendo, e le virgolette si vedeva esser andate inspessendosi, ma sempre con estrema lindura e con assoluta equidistanza segnate; ed oltre a ciò, nelle strisciate sibilanti sentivo tremarmi il ferro in pugno, e per la mano scorrermi certo rigore: ed in somma si vede e sente fare al ferro quello per appunto che facciamo noi nel parlar sotto voce e nell’intonar poi il suono gagliardo, che, mandando fuora il fiato senza formare il suono, non sentiamo nella gola e nella bocca farsi movimento alcuno, rispetto però ed in comparazione del tremor grande che sentiamo farsi nella laringe ed in tutte le fauci nel mandar fuora la voce, e massime in tuono grave e gagliardo. Ho anco tal volta tra le corde del cimbalo notatone due unisone alli due sibili fatti strisciando al modo detto, e de i più differenti di tuono, de i quali due precisamente distavano per una quinta perfetta; e misurando poi gl’intervalli delle virgolette dell’una e dell’altra strisciata, si vedeva, la distanza che conteneva quarantacinque spazii dell’una, contenere trenta dell’altra, quale veramente è la forma che si attribuisce alla diapente. Ma qui, prima che passare più avanti, voglio avvertirvi, che delle tre maniere d’inacutire il suono, quella che voi referite