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SONETTO XXXII.


S
’Amore, o Morte non dà qualche stroppio

     A la tela novella ch’ora ordisco;
     E s’io mi svolvo dal tenace visco,
     4Mentre che l’un coll’altro vero accoppio;
I’ farò forse un mio lavor sì doppio
     Tra lo stil de’ moderni e ’l sermon prisco;
     Che (paventosamente a dirlo ardisco)
     8Infin' a Roma n’udirai lo scoppio.
Ma però che mi manca a fornir l’opra
     Alquanto delle fila benedette
     11Ch’avanzaro a quel mio diletto Padre;
Perchè tien’ verso me le man sì strette,
     Contra tua usanza? I’ prego che tu l’opra:
     14E vedrai riuscir cose leggiadre.



SONETTO XXXIII.


Q
Uando dal proprio sito si rimove

     L’arbor ch’amò già Febo in corpo umano,
     Sospira, e suda a l’opera Vulcano,
     4Per rinfrescar l’aspre saette a Giove:
Il qual or tona, or nevica, e or piove
     Senza onorar più Cesare, che Giano:
     La terra piange, e ’l Sol ci sta lontano,
     8Che la sua cara amica vede altrove.
Allor riprende ardir Saturno, e Marte
     Crudeli stelle, ed Orione armato
     11Spezza a’ tristi nocchier governi, e sarte;
Eolo a Nettuno, ed a Giunon turbato
     Fa sentir, ed a noi, come si parte
     14Il bel viso dagli angeli aspettato.