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Ettor col padre, quel che troppo visse;
Dardano, e Tros, ed Eroi altri vidi
Chiari per sè, ma più per chi ne scrisse,
Diomede, Achille, e i grandi Atridi;
Duo Ajaci; e Tidèo, e Polinice,
Nemici prima, amici poi sì fidi:
E la brigata ardita, ed infelice
Che cadde a Tebe: e quell'altra ch’a Troia
Fece assai, credo; ma di più si dice.
Pentesilea, ch’a’ Greci fè gran noja:
Ippolita, ed Oritia, che regnaro
Là presso al mar dov’entra la Dannoja.
E vidi Ciro più di sangue avaro,
Che Crass d’oro; e l’un’, e l’altro n’ebbe
Tanto, ch’al fine a ciascun parve amaro.
Filopomene, a cui nulla farebbe
Nova arte in guerra: e chi di fede abbonda,
Re Massinissa, in cui sempre ella crebbe.
Leonida, e’l Tebano Epaminonda,
Milciade, e Temistocle, ch’e Persi
Cacciar di Grecia vinti in terra, e’n onda.
Vidi David cantar celesti versi,
E Giuda Macabeo, e Giosuè;
A cui ’l Sole, e la Luna immobil fersi.
Alessandro, ch’al mondo briga diè;
Or l’Oceano tentava, e potea farlo;
Morte vi s'interpose, onde nol fè.
Poi alla fin’Artù Re vidi, e Carlo.
CANZONE DEL DETTO.
Di qua dal ben per cui l’umana essenza
Dagli animali in parte si distingue,
Cioè l’intellettiva conoscenza;
Mi pare un bello, un valoroso sdegno,
Quan-