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N.° IX. le sfere omocentriche, ecc. 63

occuparsi di queste cose, tenendo tutti in conto, accostandoci però alla sentenza più certa.» Ma enumerati nel medesimo libro1 tutti i movimenti, aggiunge: «E tale sia il numero dei movimenti, onde con probabilità dobbiamo assumere, che le essenze ed i principj immobili e sensibili siano in egual numero: qual sia il necessario (numero), lasceremo dire ai più dotti di noi.» Le parole: E tale sia, e, con probabilità, e l’abbandonare la cosa ad altri più dotti, indicano dubitazione intorno all’argomento.

15. Dunque, secondo il consiglio d’Aristotele medesimo, sarà più vantaggioso seguire quei posteriori (Astronomi), che meglio resero ragione delle apparenze, sebbene neppur essi con intiera perfezione; anzichè i precedenti, i quali non avevano avuto ancora cognizione di tanti fenomeni, perchè non erano ancora arrivate in Grecia le osservazioni di 1903 anni2, che, sulla preghiera di Aristotele, Callistene aveva spedito da Babilonia, e che, al dire di Porfirio, erano state conservate fino al tempo di Alessandro Macedone; e non avevano potuto dimostrare per mezzo d’ipotesi tutto quello che già conoscevano. Onde li accusa Tolomeo di aver introdotto un così gran numero di sfere al solo scopo di ricondurre la restituzione periodica dei sette pianeti alla rivoluzione delle stelle fisse... I posteriori Astronomi adunque, respingendo le ipotesi delle sfere revolventi, principalmente perchè non valgono a spiegare la differenza delle distanze e l’anomalia dei movimenti, alle omocentriche surrogarono le ipotesi degli eccentri e degli epicicli, se pure quella dei circoli eccentrici non fu già ideata dai Pitagorici, come alcuni altri narrano, e fra questi Nicomaco, e sull’autorità di Nicomaco, Jamblico.....


  1. Nel passo che forma la nostra Appendice I.
  2. Tanto Brandis e Karsten quanto il Codice di Torino, leggono: ἐτῶν χιλίων καὶ μυριάδων τριῶν: ciò che importa 31000 in luogo di 1903, numero dato dal latino e dall’edizione aldina. Tutti gli eruditi più recenti si sono attenuti alla versione 31000, la quale ha l’inconveniente di convertire in una favola impossibile una narrazione per sè possibilissima e confermata da scoperte recenti. Come dottamente osserva il Lepsius (Chron. der Aegypter, pag. 9), il dubbio è derivato dalla trasformazione del segno D del 900 nel segno M della miriade. In favore della lezione 1903 parla pure la costruzione della frase qui sopra riferita, la quale suona assai meglio surrogando ἐννεακοσίων a μυριάδων e il fatto, che il codice su cui Guglielmo di Meerbeke fece la sua traduzione latina sullo scorcio del secolo XIII, era probabilmente più antico di quello, da cui trassero la lezione di questo passo il Brandis e il Karsten. La questione sembra abbastanza importante per esser esaminata da capo da persone competenti, coll’ajuto di tutti i codici che si potranno ancora rinvenire.