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TRAME 123

«Lei sa, dunque?» esclamò donna Fedele fermandosi su due piedi. Si fermò anche don Emanuele. Sperava che, avuta la sua risposta, la terribile signora sarebbe ritornata indietro.

«Pur troppo» diss’egli. «Lo so. Cosa grave. Gravissima. Relazione colpevole con persona non libera. Pur troppo, pur troppo.»

«Ma Lei, come lo sa?»

«Oh, fonte, fonte, fonte...!»

Parve non trovare, per la eccellenza della fonte, un epiteto abbastanza superlativo.

«Ma, fonte fonte!» esclamò donna Fedele, non credendo sincera la ricerca dell’epiteto. «Quale fonte?»

«La cosa è» rispose il cappellano, solenne, convinto. «La cosa è. Non posso nominare la fonte.»

«Mi dica almeno il nome della persona non libera!»

«Non posso!»

Questo non lo poteva davvero e le sue parole suonarono naturalmente, più convinte che mai. Ma la pazienza di donna Fedele aveva toccato i suoi limiti.

«Sa cosa penso?» diss’ella. «Che non vi è fonte ma che vi è fabbrica!»

«Lo pensi pure» fece il cappellano, pallido; e, toccatosi la berretta in segno di saluto, riprese a gran passi la via di Mea.

«Don Emanuele!» esclamò la signora. Il vetturino, mezzo ubbriaco, che si era fermato a due passi, colla mano alla briglia della sua bestia, lasciò andar la briglia, passò donna Fedele correndo e gridando:

«Ca lo ciapa? Ca lo ciapa?»

«Fermo!» gridò la signora. L’ubbriaco afferrò il cappellano per un braccio:

«El se ferma, putélo!»

«No, voi voi fermo, voi, vergogna!» gl’intimò donna Fedele e, raggiunto il gruppo, rimandò il vetturino alla sua bestia tanto imperiosamente che quegli obbedì.