Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu/36

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24 CAPITOLO PRIMO

Vi si affisò lungamente. Anche le labbra gli tremavano; gli occhi erano pieni di lagrime. La lucernina di ottone, a lui più cara delle eleganti lampade che pendevano dal soffitto, parve contenta di mostrargli il bel viso del giovinetto, spirante in quel momento una dolce parola, una parola nuova, misteriosa. Il signor Marcello riprese il portafogli, baciò il ritratto in fronte, lungamente, lo ripose adagio adagio, con riverenza, sul leggio, calò alla tastiera le grandi mani scarne, cominciò a suonare a faccia levata e a occhi chiusi.

Non era un forte pianista ma possedeva un’anima di musica. La sua profonda fede religiosa, i suoi affetti, il suo caldo senso di ogni bellezza di arte e di natura, tendevano alla espressione musicale. Venerava Beethoven non meno di Dante e, quasi, di San Giovanni Apostolo; Haydn, Mozart e Bach non meno di Giambellino e, quasi, di San Marco, di San Matteo e di San Luca. E, come del Vangelo, così leggeva ogni giorno qualche pagina dei quattro evangelisti della musica. Spesso la sera, nell’ora dei ricordi e del fantasticare, si abbandonava, sul piano, all’estro. Trovando accenti commossi, commovendosi della sua commozione stessa, suonava, suonava, tutto nello sforzo di adeguare la parola musicale al proprio senso interno, dimenticava le cose presenti, il passar del tempo. A faccia levata, a occhi chiusi, egli adesso tentava la tastiera con le grandi mani scarne, come il cieco tenta l’aria. Cercava l’ultimo canto del Pergolese:


Quando corpus morietur
Fac ut animæ donetur
Paradisi gloria.


Non seppe trovarlo, tentò affannosamente la ricerca di un simile cascar di suoni, più e più gravi, nel profondo, che dicesse uno sfasciarsi lento delle fibre mortali, uno stanco tramontar di giornata; cercò un risa-