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O MI POVR'OM! 403

tare nel treno anche la cugina per un congedo più riposato, le raccomandò col suo solito fare canzonatorio di non smarrirsi nella grande stazione, di non andare a Venezia o a Bologna invece che a Santhià. Più si avvicinava il momento della partenza e più la cugina si doleva di non avere maggiormente insistito per andare in Valsolda. Riprese quel tema, pregò, scongiurò. Donna Fedele si burlò di queste tardive istanze. «Santhià Santhià!» diss’ella. «Cosa vuoi venire a fare in Valsolda tu?»

«Euh!» replicò la vecchietta «a sarà poeui nen a la fin del mond!»

«Ma!» replicò donna Fedele. «Forse!»

La cugina tacque. Vedendo entrare parecchi viaggiatori in cerca affannosa di buoni posti, le si strinse il cuore. Mancavano pochi minuti alla partenza; dovette alzarsi per scendere. Il suo posto fu subito preso da una modesta signora di aspetto simpatico, che aveva con sè un cagnolino. «O mi!» mormorò l’Eufemia. «A jè dcò ‘l can!» La signora udì e si scusò timidamente. Il suo cane non avrebbe sopportato una separazione! Aveva un cuore! Ed era tanto savio!

«Non mi separerò neppur io» pensò la cugina Eufemia. «Non avrò meno cuore di un cane.» E simulò prender congedo, deliberata di salire in un’altra carrozza dello stesso treno, all’insaputa di donna Fedele.

Questa la salutò così:

«Ti raccomando le rose!»

E sorrise indovinando la stupefazione della vecchierella ben lontana dall’immaginare che le rose erano quelle del villino, che il villino sarebbe diventato un giorno proprietà sua e delle sue sorelle. La serena viaggiatrice immaginò anche l’ingresso nel villino delle tre proprietarie, delle tre vecchie fantasime vestite di nero, la loro dispersione immediata. L’Eufemia, la terzogenita,