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FUSI E FILA 45

Fedele lo prese, vi posò le labbra, brillandole negli occhi due lagrime.

Non suonarono più a quattro mani, quasi per una tacita intesa; ma donna Fedele non dimenticò. Indusse suo padre a lasciare Arsiero e le rose che tanto amava, che coltivava colle sue mani e aveva prodigiosamente moltiplicate intorno al villino rosso. Andarono a villeggiare presso Santhià dove avevano dei parenti. Passavano l’inverno a Torino e donna Fedele vi fu molto corteggiata, parve talvolta non insensibile agli amori che destava. Si parlò anche di passioni, di qualcuno che, respinto, si era ammazzato per lei. In fatto non si decise mai a prender marito. Le imbiancarono i capelli, le morirono i genitori. Rimasta sola a quarant’otto anni, stanca della vita cittadina, si ricordò di Arsiero, abbandonò Torino e Santhià per il villino delle Rose. Il povero Andrea Trento era già malato. Nel tempo breve che corse fra la morte di lui e la morte di sua madre, donna Fedele si recò spesso alla Montanina. Del sentimento antico per Marcello le restava una specie di rispettosa deferenza, cresciuta, per la sventura di lui, quasi a venerazione.

Ma, dopo la morte della signora Trento e un primo scambio di visite, nè Marcello venne più al villino delle Rose nè donna Fedele si recò più alla Montanina. Il raffreddamento seguì per causa di Lelia. Lelia aveva provato una impetuosa simpatia per donna Fedele al primo vederla e donna Fedele era stata involontariamente glaciale con lei, o per distrazione o per qualche nube di malumore che le offuscasse i pensieri. Ciò le accadeva, i suoi geli incomprensibili avevano spesso fatto stupire la gente. Aveva sorriso alla fanciulla un momento, le aveva dato un languido buon giorno, poi non le aveva parlato più durante tutta la visita. Lelia la giudicò altera e si persuase di esserle antipatica. Tenne quindi con essa un contegno tanto più fieramente freddo quanto