Pagina:Leopardi, Giacomo – Pensieri, Moralisti greci, 1932 – BEIC 1858513.djvu/177

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con quella medesima trascuraggine che voi potreste fare quando tutte le cose vostre procedessero prosperamente. Ma egli è ben ragione che tutto questo ci avvenga. Imperocché mai ninna cosa può procedere per acconcio modo lá dove gli uomini hanno male deliberato di tutta la forma della repubblica. E quando pure questi tali riescano a buon fine di qualche negozio o per caso o per virtú di alcuna persona, passato poco tempo, ricaggiono nelle difficoltá di prima, siccome si può vedere da quello che è avvenuto a noi medesimi. I quali, essendo, dopo la vittoria navale di Conone e di nuovo dopo le imprese condotte da Timoteo, recata alla nostra soggezione tutta la Grecia, non potemmo pure per un picciolo spazio di tempo conservare queste felicitá, ma in poco d’ora le dissipammo e perdemmo. Perocché noi non abbiamo, né anche cerchiamo di avere, uno stato di repubblica atto a bene maneggiare le cose. E per certo niuno è che non sappia come le cose prospere sogliono piú che agli altri sopravvenire e durare non mica quelli che hanno le mura piú belle e piú grandi, o che hanno la cittá piú copiosa di popolo, ma si a quelli che meglio e piú regolatamente l’amministrano. Imperciocché l’anima delle cittá non è altro che lo stato, o vogliamo dire gli ordini della repubblica, i quali hanno tanto valore in quelle, quanto nei corpi la prudenza. Essendo che il deliberare di ciascuna cosa, e il conservare i beni e lo schifare i mali, non ad altro si appartenga che al reggimento; col quale anco è forza che si conformino le leggi, i dicitori e i privati, e che tali sieno le condizioni e tali gli andamenti di ciascheduno, quale è la forma della loro repubblica. La qual forma essendo ora qui appresso di noi pervertita e guasta, noi pure non ce ne diamo un pensiero al mondo, e non cerchiamo modo di rassettarla; anzi, se bene nelle corti e nei luoghi della ragione vituperiamo lo stato presente delle cose e diciamo che mai, sotto il reggimento del popolo, non avemmo peggior condizione di vita civile, in fatti nondimeno e in pensieri abbiamo piú in grado questa forma guasta, che non quella che ci lasciarono i nostri antichi. Della quale intendo di dover