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dei costumi degl'italiani 275

perché nulla importa, e per lo piú con disprezzo, e sovente, occorrendo, con riso e scherno di quel tal uso o costume1.

Da tutte le cose considerate di sopra come cagioni della total mancanza o incertezza di buoni costumi in Italia, e della mancanza eziandio di costumi propriamente italiani (la qual mancanza è sempre compagna e causa di mali costumi), segue un effetto reale, che può parere un paradosso, cioè che (siccome v’ha piú propriamente costumi), v’ha migliori o men cattivi costumi nelle capitali e cittá grandi d’Italia, che nelle provincie, e nelle cittá secondarie e piccole. La ragione si è che in quelle v’ha un poco di societá, quindi un poco piú di cura dell’opinion pubblica, e un poco piú di esistenza reale di questa opinione, quindi un poco piú di studio e spirito di onore, e gelosia della propria fama, un poco piú di necessitá e di cura di esser conforme agli altri, un poco piú di costume, e quindi di buon o men cattivo costume. Al contrario di quel che può sembrar verisimile, le cittá piccole e le provincie d’Italia sono di costumi e di principi assai peggiori e piú sfrenati che le capitali e cittá grandi, che sembrerebbero dover essere le piú corrotte, e per tali sono state sempre considerate, e si considerano generalmente anche oggi, ma a torto. In generale egli è certo che dopo la distruzione o indebolimento de’ principi morali fondati sulla persuasione, distruzione causata dal progresso e diffusione dei lumi, si verifica una cosa, che spesso affermata, è stata forse falsa in ogni altro tempo; cioè che nel mondo civile le nazioni, le provincie, [le] cittá, le classi, gl’individui piú còlti, piú politi, sociali, esperimentati nel mondo, istruiti, e in somma piú civili, sono eziandio i meno scostumati e immorali nella condotta, e in parte ancora ne’ principi, cioè in quei principi di morale che si fondano sopra discorsi e ragioni al tutto umane. Tutto ciò è esattamente vero nell’Italia in generale, non solamente quanto alle cittá e province, ma eziandio quanto agl’individui e quanto alle classi, almeno almeno a quelle non laboriose, paragonate fra loro.

  1. Vedi i miei Pensieri, p. 3546, seg.