Pagina:Leopardi - Dissertazioni filosofiche, Antenore.djvu/215

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DISSERTAZIONE SOPRA LA FELICITÀ «Ipsa quidem virtus sibimet pulcherrima merces». Che se nella virtù ritrovasi necessariamente il piacere ciò non fa, che questo sia il fine di chi la pratica, poiché un uom virtuoso pratica la virtù con piacere ma non per il piacere. Così coloro, i quali di buon grado sopportano acerbissimi patimenti, e pene gravissime, o in difesa della Fede, o della verità etc. noi fanno già per alcun piacere sebben piacere in tali azioni ritrovi¬ no, ma per amor solamente di colui, per cui l’uomo venne creato. Può dunque affermarsi senza alcuna tema di errare, che se il piacere forma talvolta, e pur troppo bene spesso il fine del¬ le umane azioni egli non lo forma però sempre, e non può dirsi per conseguenza la felicità esser posta nel solo piacere. Nè meno speciosa dell’opinione di Epicuro si è quella degli Stoici, i quali sostengono la felicità non esser posta, che nella so¬ la virtù. Felice diffatto esser non può secondo il loro parere co¬ lui che la virtù non possiede, e questa sola può render l’uomo j9| perfettamente felice. Cesare Augusto tra le maggiori dolcez¬ ze della Corte mentre sconfìtto Bruto, e Cassio, superato Sesto Pompeo, vinta la resistenza del Senato ai suoi voleri vedeasi ad uno ad uno toglier dal lato i suoi compagni nel governo rima¬ nendo egli solo assoluto padrone quasi dell’intero universo amato da’ domestici, rispettato da’ sudditi temuto da’ nemici, solea dire, che una cosa mancavagli per esser felice, e che seb¬ bene ignorasse qual cosa fosse cotesta pure la mancanza di que¬ sta sola bastava per renderlo infelice. Ciò awenìa solamente 241