Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, I.djvu/1074

Da Wikisource.
737. A Monaldo Leopardi.
Bologna 3 Ott. 1825

Cariss. Sig. Padre All’ultima sua che mi giunse in Milano, ed era dei 30 di Ago- sto, risposi ai 7. di Settembre, e finora non ne ho ricevuto replica. Partii da Milano il 26, secondo ch’io le aveva scritto di voler partire dentro il mese, ed arrivai qua con un ottimo viaggio, la mattina dei 29. Avrei voluto scriverle subito, ma nella locanda non potei trovar calamaio con inchiostro. Qui ho tolto a pigione p[er] un mese un appartamentino in casa di un’ottima e amore- volissima famiglia,1 la quale pensa anche a farmi servire e a darmi da mangiare, perchè io non amo di profittar molto degli inviti che mi si fanno di pranzare fuori di casa. Lo Stella, che mi ha lasciato partire con molto dispiacere, mi ha assegnato per i lavori fatti e da farsi, dieci scudi al mese, come un acconto, senza pregiudizio di quel più che potranno meritare le mie fati- che letterarie dentro l’anno. Queste fatiche sono a mia piena disposizione, cioè io potrò occuparmi a scrivere quello che vorrò, dando le mie opere a lui. Per un’ora al giorno che io spendo in leggere il latino con un ricchissimo Signore greco,2 ricevo altri otto scudi al mese. Un’altr’ora e mezza passo a leggere il greco e il latino col Conte Papadopoli, nobile veneziano, gio- vane ricchissimo, studiosissimo, e mio grande amico, col quale non ho alcun discorso di danaro, ma son certo che ciò sarà senza mio pregiudizio. Eccole descritta la mia situazione, la quale pro- verò un poco come mi riesca. Io non cerco altro che libertà, e facoltà di studiare senz’ammazzarmi. Ma veramente non trovo in nessun luogo nè la libertà nè i comodi di casa mia; e finora qui in Bologna vivo molto malinconico. Ella si può poi figurare per un’altra parte, quanto ardente sia il mio desiderio di rive- der Lei, la Mamma e i fratelli. L’unica cosa che mi consigli di sopportare gl’incomodi della mia situazione (la quale però non sarebbe forse incomoda a nessun altro) è l’aver provato troppo