Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, I.djvu/1096

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il giornale delle marmotte. Assicurati che la cosa è agli estremi, e che pensando a’ miei casi io rido di quel riso che usava Democrito, e che è il solo pianto che gli uomini del mio temperamento possano accordare a se stessi. Costoro non sarebbero ora lontani dall’ammogliarmi, anzi al mio ritorno da Sinigaglia mi fecero scrivere a Fano per cercare infor- mazioni sopra un partito di cui m’era stato parlato: quel progetto svanì, ed io da questo fondo non so a qual parte dirigermi: quanto a loro si sono, come puoi credere, rimessi al riposo. Io poi, se non fosse la necessità, tutt’altro desidererei che prender moglie. Ciò che desidero veramente, è il trovarmi con te: ora non domando al destino che di poter vivere in una città buona in tua compagnia. Questa è per me un bisogno, tanto perchè il dissuefarsi da un uso antico come la nascita, e che dipende da un’affezione, è un’impresa la più penosa, e fatale a tutte le qualità del cuore; tanto perchè qui non ho assolutamente alcuno che mi capisca, e credo che anche fuor di qui non troverei con chi parlare la lingua nostra propria; quanto anche perchè standoti vicino, il mio amor proprio viene soddisfatto sentendo il valore della metà di me stesso; mentre l’altra metà non vale affatto nulla. Tutto questo è sincerissimamente detto, come sai ch’io parlo: tu per altro non devi più venir qua che a modo di villeggiatura, giacché il rinchiu- dersi in Recanati dopo aver soggiornato in Capitali, è lo stesso che condannarsi alla morte. Meno male la piccolezza del luogo; ma secondo me, lo spirito di questo, e degli altri nostri paesi, è la cosa più detesta- bile. Basta che tu rifletti un momento a ciò che è conosciuto pel carat- tere dei Marchigiani, e poi mi dirai se si può dar cosa più mortale di questa accortezza che non consiglia altro che l’ozio, l’insensibilità e l’indifferenza ad ogni sorte di merito; e che togliendoci il modo d’in- gannar noi stessi e gli altri, ci chiude le strade che la natura ci ha dato alla felicità ed all’avanzamento. Tu sai che per ingannar gli altri, io non intendo tradirli, ma far colpo sopra di loro con quei talenti che comandano l’ammirazione e gli altri sentimenti che qui si credono riser- vati aux dupes; in somma lusingarli e carezzarli come noi facciamo a noi stessi colle illusioni, che pure sono il solo nostro bene. Quella scienza miserabile che ha chiamato vanità le illusioni, ha dato lo stesso nome a tutte le impressioni che un uomo riceve dall’altro, ma come non ci facciamo scrupolo di richiamar le prime, non dobbiamo farcelo di maneggiare abilmente le seconde. Mi avvedo di esser divenuto un gran declamatore, altra qualità che si acquista in questi bei paesi. Vorrei, Buccio mio, saper qualche cosa