per la bontà e l’amorevolezza che continuamente mi dimostra,
ho l’onore, offerendomi ai suoi comandi, di protestarmi di
Lei, pregiatissimo Signor Cavaliere, devotissimo obbligatissimo
servitore Giacomo Leopardi.
Carissimo Signor Padre.
Risposi lungamente1 alla sua dei 6 del corrente, dopo la
quale non ho veduta altra lettera di costà. Questo silenzio mi
farebbe molta pena se io non l’attribuissi intieramente alla posta,
la quale, al solito, mi priverà delle lettere che Ella o quei di casa
mi avranno scritte. Bensì non posso a meno di lamentarmi di
questa infame negligenza, che mi toglie uno dei maggiori pia-
ceri, anzi forse il maggior piacere che io possa provare in que-
sto tempo. Riconosco però coll’esperienza propria quello di cui
mi era tante volte lagnato costì, come Ella forse si ricorda, cioè
che le lettere di Recanati, non so per qual fatalità particolare,
non arrivano al loro destino se non per miracolo, massimamente
quelle dirette verso Lombardia. In ogni modo la prego a non
stancarsi di scrivermi, e a dirmi se ha ricevuta la mia lunga rispo-
sta alla sua dei 6. Desidero anche ardentissimamente le sue nuove
e quelle della Mamma, dei fratelli e del Zio Ettore, i quali saluto
tutti con tutta l’anima. La Mamma come sta del raffreddore
che Ella mi diceva? Io sto bene, e l’amo quanto Ella merita.
Ella mi ami, come fa, e mi benedica. Le bacio la mano e mi
ripeto suo affettuosissimo figlio Giacomo.
Credo che a quest’ora il Zio Carlo sarà tornato costì da
Urbino, e le avrà parlato di una lettera di Bunsen che egli mi
spedì da Urbino a Milano, e che io ricevetti qui coll’ultimo ordi-
nario; nella quale Bunsen mi dice per parte del Segretario di