amicizia non debba esser rotta per la lontananza. La mia salute
non va bene, ma pur tollerabilmente. Molto bene1 non par che
abbia più voglia di studiar Latino. Essendo tornato a uscire un
poco di casa, sono stato da lui. Mi si è fatto negare più volte:
finalmente mi ha fatto dire che quell’ora non gli era più comoda;
che sarebbe venuto da me per concertarne un’altra. Non è mai
venuto. Quest’ancora è una delle mie fortune. Scrivimi, mio
caro e divino amico, subito che tu avrai tempo, e dammi nuove
della tua salute, e dell’animo, e dei piaceri e dei dispiaceri, e
in somma parlami di te assai. Se ti posso servire, comandami,
e non mi risparmiare. Addio, ti abbraccio con tutta l’anima.
Addio, addio.
Il tuo Leopardi.
782. |
Di Monaldo Leopardi. |
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Recanati, 30 Novembre 1825. |
Mio caro Figlio, Ilo veduto con sommo contento i vostri carat-
teri, ma, oh Dio! quanto mi hanno crucciato le nuove non prosperis-
sime della vostra salute. Se io non fossi conficcato qui con tanti, e
di ogni sorte, e tutti tenacissimi chiodi, sarei subito venuto a vedervi,
e a liberarmi dalla grave apprensione, in cui vivo per vostro conto,
ad onta di quanto scrivete di miglioramento; temendo sempre che
vogliate risparmiare il mio cuore, e non mi scriviate quanto male vi
sentite. Voi però conoscete come io sono indissolubilmente attaccato
a questa rupe, e come non posso allontanarmene, tolto uno di quei
casi, nei quali l’uomo deve sollevarsi sopra ogni altro riguardo o dovere;
nel qual caso però, grazie al Signore, non siamo. Figlio mio caro, abbia-
tevi ogni riguardo, e finché non ci avrete tranquillizzati del tutto, non
lasciate di scrivere una riga almeno in ogni ordinario. Tutti siamo in
pena, ed aspettiamo le lettere vostre con somma ansietà. Sopra tutto
non aumentate gl’incomodi vostri coll’immaginarli maggiori, perchè
le apprensioni e la ipocondrìa sono la parte dei letterati e degli isolati.
Curate i mali grandi, ma disprezzate i piccoli, fate moto, cercate com-
pagnia e divagamento, e persuadetevi che gl’incomoducci svaniscono
da sè stessi, quando si vedono non curati.