Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, I.djvu/1141

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Terminata la lettera di mio figlio vengo io a dirle, che se tornasse meglio comodo a Lei il lasciare ad altri l’incarico delle lezioni, io ne sentirei gran piacere, perchè a me pare che potrebbe attendere così alle dette Opere, distribuendo il suo tempo fra il Petrarca e i Greci moralisti. Già s’intende che i dieci scudi al mese ch’Ella ritrae dalle lezioni verrebbero suppliti da me, e cominciando col pross. gennaio, il sig. Moratti, in vece di scudi dieci al mese, le conterebbe scudi venti. Ci pensi, e pensi ancora ch’io le parlo col cuor di padre, non che di sincerissimo amico, quale veracemente sono. Ant. Fort. Stella

786. A Monaldo Leopardi.
Bologna 4 Dee. 1825.

Carissimo Sig. Padre. Ricevo in questo momento la sua cara dei 30. Non lo ringra- zierò dell’amore che Ella mi dimostra, perchè nessun ringra- ziamento sarebbe proporzionato, e perchè esso non mi giunge nuovo. Senza nasconderle nulla, le dico con verità ch’io vo migliorando di giorno in giorno sensibilmente, benché lentissi- mamente. Ma il Medico, ed altri che hanno patito di questo med. male, mi dicono che la lentezza del guarire è una sua qua- lità ordinaria, tanto più non usando certi rimedi forti, che il medico voleva porre in opera a ogni patto, come sanguigne o mignatte al sedere, ec. e che io non ho voluti. Intanto vo pas- seggiando ogni giorno anche lungamente, e non sento più dolore nè gran calore al basso ventre come per l’addietro. Vedrò molto volentieri Setacci, e gli farò le migliori accoglienze che mi sarà possibile. Del Zio Ettore mi dispiace moltissimo, sebbene non lascio di sperare. Se le pare opportuno, lo saluti tanto da mia parte, e gli significhi il dispiacere che ho del suo incomodo. Già Carlo quest’estate mi aveva scritto che il male era una specie di apoplessia. Quanto al Segretariato, siamo ancora alle parole. Bunsen mi scrive che il Card. Camerlengo, al quale veramente