Terminata la lettera di mio figlio vengo io a dirle, che se tornasse
meglio comodo a Lei il lasciare ad altri l’incarico delle lezioni, io ne
sentirei gran piacere, perchè a me pare che potrebbe attendere così
alle dette Opere, distribuendo il suo tempo fra il Petrarca e i Greci
moralisti. Già s’intende che i dieci scudi al mese ch’Ella ritrae dalle
lezioni verrebbero suppliti da me, e cominciando col pross. gennaio,
il sig. Moratti, in vece di scudi dieci al mese, le conterebbe scudi venti.
Ci pensi, e pensi ancora ch’io le parlo col cuor di padre, non che di
sincerissimo amico, quale veracemente sono.
Ant. Fort. Stella
Carissimo Sig. Padre.
Ricevo in questo momento la sua cara dei 30. Non lo ringra-
zierò dell’amore che Ella mi dimostra, perchè nessun ringra-
ziamento sarebbe proporzionato, e perchè esso non mi giunge
nuovo. Senza nasconderle nulla, le dico con verità ch’io vo
migliorando di giorno in giorno sensibilmente, benché lentissi-
mamente. Ma il Medico, ed altri che hanno patito di questo
med. male, mi dicono che la lentezza del guarire è una sua qua-
lità ordinaria, tanto più non usando certi rimedi forti, che il
medico voleva porre in opera a ogni patto, come sanguigne o
mignatte al sedere, ec. e che io non ho voluti. Intanto vo pas-
seggiando ogni giorno anche lungamente, e non sento più dolore
nè gran calore al basso ventre come per l’addietro. Vedrò molto
volentieri Setacci, e gli farò le migliori accoglienze che mi sarà
possibile. Del Zio Ettore mi dispiace moltissimo, sebbene non
lascio di sperare. Se le pare opportuno, lo saluti tanto da mia
parte, e gli significhi il dispiacere che ho del suo incomodo. Già
Carlo quest’estate mi aveva scritto che il male era una specie
di apoplessia. Quanto al Segretariato, siamo ancora alle parole.
Bunsen mi scrive che il Card. Camerlengo, al quale veramente