Bologna 24 Febbraio 1826. |
Cariuccio mio. Ringraziato Dio, che finalmente rivedo i tuoi
caratteri; e sappi che quel tuo silenzio tanto lungo mi aveva fatto
nascere un certo terrore che tu non fossi più a casa, e che mi
si volesse nascondere quel che era di te. Un ordinario prima
della tua lettera ebbi il pacco, di cui ti ringrazio assai. La mia
Farfa fu veramente, parte la nostra Libreria, parte la vettura
dell’Ebreo1 e parte Roma. Sappi però che Cesari, stimato giu-
dice supremo in queste materie, leggendo il ms. a Milano in pre-
senza mia, lo giudicò per cosa del trecento bella e buona, e così
è creduto ora in Milano e qui. Le altre mie cose (eccetto i Mani-
festi del Cicerone di Stella, che io ho fatti e ti potrei mandare;
ma non valgono la pena), sono stampate nel Raccoglitore di
Milano, e però non posso spedirtele, ma sono bagattelle.2 Altre
più rilevanti che si stampano a Milano adesso, te le manderò
subito che ne avrò copia.5 Avrei ben caro di sapere i dettagli
della tua querela del Casino, ma capisco che saranno cosa lunga,
e ti annoierà di scriverli. Ma tu franchi dunque col tuo denaro
le lettere che mi scrivi? Non lo far mai più, che grazie a Dio,
il pagar l’importo di una lettera non mi è d’incomodo, te ne
accerto; e sicuramente è di più incomodo a te che a me. Se volessi
ragguagliarti minutamente della mia situazione, dovrei allun-
garmi assai, ma solo ti dirò che sin dopo il primo mese, cioè
finito Ottobre, io lasciai le Lezioni (le quali se avessi dovuto
continuare, la pazienza non mi avrebbe retto), e che vivo qui
onoratamente, e con piena indipendenza personale; e regolan-
domi nelle spese, passo anche per ricco presso questi di casa.
Se avessi voglia e salute da faticar di più in cose letterarie, potrei
anche aver dell’avanzo, perchè non mi mancherebbero imprese
e inviti librarii qui e in Torino e altrove. La pittura che tu mi
fai del tuo stato, penoso al solito, accresce la smania che io ho
di rivederti. Ti giuro che a paragon di questo, il piacer di stare