Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, I.djvu/236

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quella proprietà e forza tanto necessarissima e difficilissima p[er] descrivere colle parole e mettere innanzi agli occhi un quadro. Cimento proprio terribile, e da spaventare ogni men prode e potente di Lei, mettere così apertamente alle prese l’arte di scri- vere colla pittura. Ed Ella è riuscita mirabilmente. In questa tanto squisita prosa ho trovato un’opinione sopra la quale avrei qualcosa che dire. Ella ricorda in generale ai giovani pittori che senza stringente necessità della storia (e anche allora con buon giudizio e garbo) non si dee mai figurare il brutto. Poiché, sog- giugne, l’ufficio delle belle arti è pur di moltiplicare e perpe- tuare le imagini di quelle cose o di quelle azioni cui la natura o gli uomini producono più vaghe e desiderabili: e quale consi- glio o qual diletto crescere il numero o la durata delle cose moleste di che già troppo abbonda la terra? A me parrebbe che l’ufficio delle belle arti sia d’imitare la natura nel verisimile. E come le massime astratte e generali che vagliono p[er] la pittura denno anche valere pfer] la poesia, così secondo la sua sentenza, Omero Virgilio e gli altri grandi avrebbero errato infinite volte, e Dante sopra tutti che ha figurato il brutto così sovente. Perocché le tempeste le morti e cento e mille calamità che sono altro se non cose moleste anzi dolorosissime? E queste così innumerevoli pit- ture hanno moltiplicato e perpetuato i sommi poeti. E la trage- dia sarebbe condannabile quasi intieramente di natura sua. Cer- tamente le arti hanno da dilettare, ma chi può negare che il piagnere il palpitare l’inorridire alla lettura di un poeta non sia dilettoso? anzi chi non sa che è dilettosissimo? Perchè il diletto nasce appunto dalla maraviglia di vedere così bene imitata la natura, che ci paia vivo e presente quello che è o nulla o morto o lontano. Ond’è che il bello il quale veduto nella natura, vale a dire nella realtà, non ci diletta più che tanto, veduto in poe- sia o in pittura vale a dire in imagine, ci reca piacere infinito. E così il brutto imitato dall’arte, da questa imitazione piglia facoltà di dilettare. Se un uomo è di deformità incredibile, ritrar questa non sarebbe sano consiglio, benché vera, perchè le arti debbono persuadere e far credere che il finto sia reale, e l’in- credibile non si può far credere. Ma se la deformità è nel veri-