Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, I.djvu/279

Da Wikisource.

tuosi che giudiziosi aveami portato ad un impiego lucroso ed ambi- zioso nel governo; ma non buono per me, che fui sempre inettissimo ad ogni politica: però a dispetto di tutti volli rinunziare; e per un anno recitai la parte di professor d’eloquenza nell’università di Bologna; essendomi promesso che quella cattedra mi resterebbe. Ma in vece ne fui cacciato con ignominia, come ignorantissimo. Ciò mi accadde e in odio di un amico mio, la cui potenza era allora molto combattuta dai briganti nel governo; e poi anche per timore ili alcuni che forse 10 studiando potessi divenir qualche cosa. Parve dunque bene togliermi e riputazione, e pane, di che allora bisognavo, e senza che non si può studiare. Era veramente cosa da disperarsi, di tanto crudele ingiusti- zia; perchè sebbene io era un ignorantello (e che potevo esser di più in quella età, colla poca salute e tanti impedimenti che sino allora avevo avuti a studiare?) avevo però quanto bastava a far molto buona figura, e parere molto più valente di tutti gli asini che mi perseguitavano, cominciando daU’asinissimo ministro dell’interno. Il mio raro e pre- zioso amico il Marchese di Montrone mi trasse a fare e pubblicare quel panegirico: e in quella occasione, come resistere alla tentazione di con- fondere i miei calunniatori, tanto facili ad essere confutati? Mi pro- posi dunque che quella scrittura divenisse testimonio di quel che sapevo; e potesse ai futuri dar indizio di quanto si sapeva dal nostro secolo. M’ingegnai bene che ogni cosa o erudita o scientifica avesse buona cagione di starvi; o come prova e confermazione delle mie pro- posizioni, o almeno come illustrazione o come ornamento non inutile. Ma poiché la vera origine era pure uno sdegno ambizioso, non è mara- viglia che pur l’originale peccato vi si scorga. Vero è che se guastai 11 lavoro, feci compita la mia vendetta; poiché quel lago di pedanteria rovesciato sulle teste dei calunniatori, li ammutolì; e mai più credet- tero di potermi accusare d’ignoranza. Ma è anche vero che questa vit- toria niente giova. Ogni volta che si presenta un uom nuovo su que- sto mondo, e cerca di prendervi un posto (non trovandosel già preparato da’ suoi maggiori, come hanno per fortuna i figli de’ nobili e de’ ric- chi) tutti gli gridan contro; e gridano che è un minchione. A ciò si può risponder facilmente: si mette fuori un libro, una statua, una pit- tura, una macchina; e si prova il contrario. Ma non basta. Sopita l’ac- cusa di minchionaggine, sorge quella di tristizia; alla quale è più diffi- cile il rispondere. Perchè tutto ad un tratto potete convincere il publico che sapete far qualche cosa. Ma come si arriva a persuadere ad uno ad uno molti uomini che siete galantuomo? Io poiché non volli accet-