di me, considerando ch’è un niente anche la mia disperazio-
ne.
Gli studi che tu mi solleciti amorosamente a continuare, non
so da otto mesi in poi che cosa sieno, trovandomi i nervi degli
occhi e della testa indeboliti in maniera, che non posso non sola-
mente leggere nè prestare attenzione a chi mi legga checché si
voglia, ma fissar la mente in nessun pensiero di molto o poco
rilievo.
Mio caro, bench’io non intenda più i nomi d’amicizia e
d’amore, pur ti prego a volermi bene come fai, ed a ricordarti
di me, e credere ch’io, come posso, ti amo, e ti amerò sempre,
e desidero che tu mi scriva. Addio.
Milano 25. Novembre [1819] |
Mio amatissimo. Alla tua dei 22. ottobre risposi il 1. novembre;
confortandoti alla meglio di tolerare colla possibil pazienza la tua pre-
sente condizione: considerando che almeno hai le comodità necessa-
rie alla vita, e la possibilità di pascer l’intelletto con letture e con medi-
tazioni: cose che ti mancherebbero gittandoti alla fortuna: poiché il
secolo è sommamente egoista, e crudele agl’ingegni. Ti raccomandavo
ancora di farti aiutare da Carlo e da Paolina nel leggere, per non ammaz-
zar gli occhi, che vogliono esser trattati con grandissimo rispetto. Non
so se quella mia povera lettera avrà avuto fortuna di arrivarti. Ora
ti avviso che fra pochi dì sarò nel mio lugubre sepolcro di Piacenza,
dove resterò un pezzo. Son certo che là mi manderai talvolta delle tue
nuove, che io desidero tanto: benché sinora siano più per piangere
insieme (come troppo veramente tu dici) che per rallegrarci. Mille cari
saluti a Carlino e a Paolina: e con tutto il cuore ti abbraccio. Addio
addio.