nostre inclinazioni, e La musica è per me La prima, e la più grande
di tutte le piacevoli risorse. L’ho coltivata male da giovane: volli cono-
scerla meglio da vecchio, e affronta] di quasi 40. anni degli studi, che
si fanno fare a dei fanciulli di 18. sotto il gran Babini, di cui fui ami-
cissimo, e che perito tre anni fa, io ne onorai, come mi fu possibile
La memoria con un discorso, che lessi l’anno scorso, all’occasione della
pubblica distribuzione de’ premj del Governo, e che avrei stampato,
se me lo avessero permesso le mie finanze.
Il nostro giordani m’impone di riverirla. Io con tutto l’animo mi
rinnovo per sempre
il suo devmo obbmo servit. e Amico Pietro Brighenti |
Recanati 24 Aprile [1820] |
In somma io vengo imbrattando la carta inutilmente, quan-
d’io ti scrivo, e credo che da Brighenti avrai saputo quante altre
volte io l’abbia fatto invano. Ma di questa sola cosa non mi voglio
stancare. Se noi fossimo antichi, tu avresti spavento di me,
vedendomi così perpetuamente maledetto dalla fortuna, e mi
crederesti il più scellerato uomo del mondo. Io mi getto e mi rav-
volgo p[er] terra, domandando quanto mi resta ancora da vivere.
La mia disgrazia è assicurata p[er] sempre: quanto mi resterà
da portarla? quanto? Poco manca ch’io non bestemmi il cielo
e la natura che par che m’abbiano messo in questa vita a bella
posta perch’io soffrissi. Mi par quasi impossibile che tu m’ami.
A ogni modo mi fo violenza p[er] crederlo, e in riguardo tuo
non ne posso dubitare, ma solamente rispetto alla mia sfortuna.
Che certo se tu m’ami, sei l’unico in questa terra. Brighenti mi
scrive di un tuo Discorso intorno alle poesie del March, di Mon-
trone.1 Non so niente se sia vecchio o nuovo. S’è vecchio per-
chè non me n’hai parlato mai? s’è nuovo perchè non me lo
mandi? Ma forse t’accorgi ch’io son diventato meno del nulla,
e peggio che morto, e non mi si convengono più gli uffizi che