Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, I.djvu/639

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Scrissi al nostro Giordani, a’ 18 di questo, a Milano. Vedrò se le mie lettere verso quella parte hanno miglior fortuna. Mi scriveste poco fa di una traduzione latina della mia Canzone al Mai, della quale non ho avuta altra notizia nè prima nè dopo.2 Se ancora l’avete, vorrei divertirmi un poco a vedere come sono stato inteso, e mi fareste piacere a mandarmela per la posta. Non uscirà certo dalle mie mani. Datemi qualche notizia della vostra edizione.5 Della gonfiezza di stile del vostro Babini, io non mi accorgo, anzi mi par molto castigato. Amami, caro Brighenti, e ridiamo insieme alle spalle di questi coglioni che possiedono l’orbe terraqueo. Il mondo è fatto a rovescio come quei dannati di Dante che avevano il culo dinanzi e il petto di dietro; e le lagrime strisciavano giù per lo fesso.4 E ben sarebbe più ridicolo il volerlo raddrizzare, che il contentarsi di stare a guardarlo e fischiarlo. Il tuo Leopardi

408. Di Pietro Giordani.
Milano 27. giugno [1821]

Mio adorato giacomino. Ricevo la tua del 18; la quale un poco mi consola, per quanto possono esserci consolazioni per noi. Ma per te ci sono certamente speranze, e grandi. Intanto mi giova che il tuo animo grandissimo si pasca di lavori degni. Ma per carità abbi cura della salute: questa importa sopra tutto: te la raccomando senza fine. Di Carlino e Paolina non mi dici nulla: ti prego di salutarmeli carissimamente, e darmene nuove. Io starò qui almeno tutto luglio. La mia salute è perita irrecuperabilmente: perchè quale speranza di guarire d’un male ner- voso che dura più di tre anni? Il mio unico consolatore, il povero cer- vello, è morto, senza speranza di risurrezione. I miei occhi non sof- frono più di leggere. Le mie tristezze sono un oceano senza lidi e senza fondo, nel quale andrebbe sommersa l’allegria di un mondo. Io sop- porto tutto questo con una pazienza stupida, come si sopportano i mali che non hanno rimedio nè speranza, e sono eccessivi. Tu non ti con- tristare di me. Fa conto (come fo io ) che io son morto; se non che io ti amo ancora indicibilmente; e ti amerò finché mi rimanga un pen- 513 Biblioteca Coffljftate FON»1