Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, I.djvu/750

Da Wikisource.

Io spero che ti riuscirà di trovare qualche stabilimento in Roma; e di prolungarvi il soggiorno, finché ti riesca di trovarne. Quanto allo stordimento prodotto da tante novità e tante romane, son persuaso che a quest’ora ti sarà cessato; e che avrai ripigliato l’uso franco e pronto delle tue immense facoltà intellettuali. Grande sventura hai, Giacomino mio, che non trovi in Roma quel tesoro e onore della misera specie umana, quel divino e adorabile Canova.3 Oh come t’avrebbe accolto affettuosamente! come saresti stato beato di vederlo ed amarlo! Ma ti prego di vedere (a mio nome) l’Abate suo fratello,'1 mio amatissimo amico, degno di quel fratello; degno di tutto l’amore de’ buoni. S’egli potrà giovarti lo farà volen- tieri; perchè è tutta cortesia e amorevolezza. Anche a mio nome vedi Monsignor Mai e il Cavalier Tambroni.’ Sono persone che il proprio merito inclina a giovare ai buoni e bravi. Per quanto il secolo sia sfa- vorevole alla virtù, voglio sperare che tu possa pur ottenere qualche cosa. A te basta di aver mezzo a viver quieto e libero, per condurre a perfezione quei rarissimi e maravigliosi talenti che hai. Son sicuro che non avrai mai altra ambizione. Di me che ti dirò? Ti ripeto che io mi desidero insaziabilmente tue lettere, che mi compensino di sì lunghe e penose privazioni. Par- lami di te ben lungamente. Io sono tuttavia afflitto da mille tristezze che mi opprimono, per mali pubblici, privati, altrui, miei. La perdita (e tanto inaspettata) di Canova, nel cui pensiero era tutta la mia vita, ha messo il colmo a’ miei mali, che già mi erano insopportabili, poi- ché da quasi quattro anni mi tormenta un male di nervi, che veggo insanabile, e mi toglie ogni facoltà di leggere, di scrivere, di pensare. Ho passato l’estate e l’autunno in Ginevra, il principio dell’inverno in Genova; tentando se il mutar di clima recasse qualche sollievo alla malattia, e alle tristezze: ma nulla giova. Talvolta il male e le malinco- nie crescono a segno, che io stupisco di non morirne o impazzirne: talvolta ricado in quella stanchezza di pensare che approssima alla stu- pidezza. E così vivo: sperando pur di morire. Ma tu non rattristarti per me, già rassegnato al mio destino. Tu giovane, pieno di grandis- sime speranze, ama e cura te stesso. Ama pur me che ti adoro ineffa- bilmente; e scrivimi scrivimi (quanto puoi comodamente) senza misura. Ti abbraccio e ti bacio con tutta l’anima. Addio addio mille volte e centomila volte: addio.