io viva del mio; voglio dire, non di quel di mio padre; perchè
mio padre non vuol mantenermi fuori, e forse non può, attesa
la scarsezza grande di danari che si patisce in questa provincia,
dove non vale il possedere, e i signori spendono le loro derrate
in essere, non trovando da convertirle in moneta; ed atteso
ancora che il patrimonio di casa mia, benché sia de’ maggiori
di queste parti, è sommerso nei debiti. Ora, io non posso viver
del mio se non lavorando molto; e lavorar molto con questa salute
non potrò più in mia vita. Perciò m’è convenuto sciorini dagli
obblighi ch’io aveva contratti collo Stella, e perdere quella prov-
visione che aveva da lui, e che mi bastava per vivere competen-
temente: erano, come credo che sappiate, venti scudi romani
(diciannove fiorentini) al mese. Se io trovassi un impiego da
faticar poco, dico un impiego pubblico ed onorevole (e gl’im-
pieghi pubblici sogliono essere di poca fatica) volentieri l’ac-
cetterei: ma non posso trovarlo qui nello Stato, dove ogni cosa
è per li preti e i frati; e fuori di qui che speranza d’impieghi
può avere un forestiero? I miei disegni letterarii sono tanto più
in numero, quanto è minore la facoltà che ho di metterli ad ese-
cuzione; perchè, non potendo fare, passo il tempo a disegnare.
I titoli soli delle opere che vorrei scrivere, pigliano più pagine;1
e per tutto ho materiali in gran copia, parte in capo, e parte
gittati in carte così alla peggio. Di questi titoli potrò spccificar-
vene alcuni, se voi vorrete, e quanti vorrete in altra lettera: que-
sta è già troppo lunga. Vogliatemi bene, e scrivetemi, come mi
promettete. Se vedete il professor Doveri,2 fatemi grazia di
salutarlo per parte mia. Vi abbraccio carissimamente.
1418. |
Di Giacomo Tommasini. |
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Mio caro Conte Leopardi
Io mi trovo in Parma fin dalla fine di Novembre; e ciò per una
grave malattia più volte recidiva, da cui è affetto questo Maresciallo