1539. |
A Pierfrancesco Leopardi. |
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Sto sempre col mio gran raffreddore di testa e di petto, ecces-
sivamente incomodo, ma di niuna conseguenza; e il medico ride
incora della mia opinione che questo malanno mi divenga cro-
nico e perpetuo, come l’altre mie beatitudini. Domani lascio
la locanda, e vo a dozzina coll’E.R. dell’Antologia (Emmanuele
Repetti).1 Addio, addio.
Bol[ogn]a 12 Giugno 1830. |
C.a.
Tu nel partire da Bologna mi dicesti bramare che a quando a quando
ti scrivessi. Io fino ad ora non mi sono giovato di questa brama (o
forse meglio licenza) per iscriverti. Ma finalmente eccomi a te che vengo
in forma di letterina a chiedere il come stai, il che fai etc. etc. Frat-
tanto ti so dire che se mai ti prendesse briga di sapere quel ch’io mi
fo, non so risponderti altra cosa se non se «Che mangio, bevo, dormo,
e vesto panni». Le quali cose per altro (sia lode al vero) hanno biso-
gno di noterelle, poiché se parlo del mangiare, tu hai da sapere ch’io
mangio con sobrietà eremitica molte erbuccie con molte tagliatelle. Se
parlo del bere, m’intendo dirti che fo di quelle certe bevute d’acqua
sì grandi da disgradarsene li Camelli privilegiati da natura di quel certo
otre ove tengono la provigione dell’acqua pel tempo in cui vanno pas-
seggiando il deserto ove non sono cisterne, e dove non entrò per anche
la moda facile dei pozzi artesiani. Finalmente quando ti parlai del dor-
mire, e vestir panni, ciò devesi intendere sempre nel modo in cui mi
si dà licenza dal caldo, dalle pulci, dalle mosche (colle quali si è diso-
nestamente divertiti in questa benedetta stagione); e dico, da vero final-
mente, «vestirpanni» come e in quella meschina guisa che mi consente
la Classica Tariffa doganale poco fà pubblicata, la quale fa piangere