Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, II.djvu/879

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Dedicatoria della canzone Ad Angelo Mai I [1820] Giacomo Leopardi al Conte Leonardo Trissino Voi per animarmi a scrivere mi solete ricordare che la storia de’ nostri tempi non darà lode agl’italiani altro che nelle let- tere e nelle scolture. Ma eziandio nelle lettere siamo fatti servi e tributari; e io non vedo in che pregio ne dovremo esser tenuti dai posteri, considerando che la facoltà dell’immaginare e del ritrovare è spenta in Italia, ancorché gli stranieri ce l’attribui- scano tuttavia come nostra speciale e primaria qualità, ed è secca ogni vena di affetto e di vera eloquenza. E contuttociò quello che gli antichi adoperavano in luogo di passatempo, a noi resta in luogo di affare. Sicché diamoci alle lettere quanto portano le nostre forze, e applichiamo l’ingegno a dilettare colle parole, giacché la fortuna ci toglie il giovare co’ fatti com’era usanza di qualunque de’ nostri maggiori volse l’animo alla gloria. E voi non isdegnate questi pochi versi ch’io vi mando. Ma ricorda- tevi ch’ai disgraziati si conviene il vestire a lutto, ed è forza che le nostre canzoni rassomiglino ai versi funebri. Diceva il Petrarca, ed io son un di quei che ’l pianger giova. Io non posso dir questo, perchè il piangere non è inclinazione mia propria, ma necessità de’ tempi e volere della fortuna.