Pagina:Leopardi - Paralipomeni della Batracomiomachia, Laterza, 1921.djvu/48

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38 i - versi

     100— Io l’Angel son che tua natura abbella,
tua guardia — (e su i ginocchi allor cascai)
cominciò quegli in sua santa favella.
     — La gran Signora da’ sereni rai
mandommi c’ha di te pietade in cielo;
105poco t’è lunge ’l dí che tu morrai. —
     I’ mi fei bianco in volto e venni gelo,
attonito rimasi e mi sentia
ritrarsi ’l core ed arricciarsi ’l pelo.
     E muto stetti, e pur volea dir: — Sia,
110o Signor, quel ch’è fermo in tuo consiglio, —
ma voce della strozza non uscia.
     E sol potei chinar la fronte e ’l ciglio,
e caddi al suol boccone; e quegli allora
levommi a un tratto e: — Fa’ cor — disse, — o figlio.
     115Non ti dolga di tua poca dimora
in questa piaggia trista, e non ti caglia
ch’ancor del quarto lustro non se’ fòra.
     Or ti parrá da quanto aspra battaglia
voler sia de l’Eterno che fòr esca,
120e come umana gente si travaglia,
     e quant’è van quel che le menti adesca,
ed ammiranda vision vedrai,
per che gir di qua lunge non t’incresca. —
     E poi soggiunse: — Mira! — ed i’ mirai.