Pagina:Leopardi - Paralipomeni della Batracomiomachia, Laterza, 1921.djvu/70

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60 i - versi

     Morir quand’anco in terra orma non stampo?
né di me lascerò vestigio al mondo
maggior ch’in acqua soffio, in aria lampo?
     70Ché non scesi bambin giú nel profondo?
e a che, se tutto di qua suso ir deggio,
fu lo materno sen di me fecondo?
     Eterno Dio, per te son nato, il veggio,
che non è per quaggiú lo spirto mio;
75per te son nato e per l’eterno seggio.
     Deh! tu rivolgi lo basso desio
inver’ lo santo regno, inver’ lo porto.
O dolci studi, o care muse, addio.
     Addio speranze, addio vago conforto
80del poco viver mio che giá trapassa:
itene ad altri pur com’i’ sia morto;
     e tu pur, Gloria, addio, ché giá s’abbassa
mio tenebroso giorno e cade omai,
e mia vita sul mondo ombra non lassa.
     85Per te pensoso e muto arsi e sudai,
e te cerca avrei sempre al mondo sola,
pur non t’ebbi quaggiú né t’avrò mai.
     Povera cetra mia, giá mi t’invola
la man fredda di morte, e tra le dita
90lo suon mi tronca e ’n bocca la parola.
     Presto spira tuo suon, presto mia vita:
teco finito ho questo ultimo canto,
e col mio canto è l’opra tua compíta.
     Or, bianco ’l viso e l’occhio pien di pianto,
95a te mi volgo, o Padre, o Re supremo,
o Creatore, o Servatore, o Santo,
     tutto son tuo. Sola speranza, io tremo
e sento ’l cor che batte e sento un gelo
quando penso ch’appressa il punto estremo.
     100Deh m’aita a por giú lo mortal velo,
e come fia lo spirto uscito fòre,
nol merto no, ma lo raccogli in cielo.