Pagina:Lettere sulla Alceste seconda (Bettoni 1808).djvu/96

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94 note

Feréo.

Oh ciel, che ascolto! e nol sei tu pur anco?

Adméto.

Io 'l fui; ma nulla omai più son: la vista
Dei già miei figli emmi dolor: la tua,
Più assai che duol mi desta ira, o Feréo.

Feréo.

Così mi parli? e neppur più mi appelli
Col nome almen di padre?

Alceste.

                                                  Oimè, quali odo
Dalle labbra d’Adméto snaturati
Detti non suoi!

Adméto.

                                    Ben miei, ben giusti or sono
Questi accenti, in cui m’è proromper forza.
Or, non sei tu, Feréo, nol sei tu solo,
L'empia cagion d’ogni mio orribil danno?
Tu, mal mio grado, a viva forza, in Delfo
Mandavi per l’oracolo; mentr'io,
Presago quasi del funesto dono,
Che mi farian gli Dei, vietando andava
Che in guisa niuna il lor volere in luce
Trar si dovesse. Io, vinto allor dal morbo,
Al Destin rassegnatomi, diviso
Per lo più da me stesso, iva a gran passi
Senza pure avvedermene alla tomba;
Perchè ritrarmen tu?. . .