Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/108

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102 ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti

Soccorse Amore col pensiero al difetto degli occhi, né di questo avvenne altro che accumulazione di pene. Perché, come dicemo nel comento del sonetto che comincia: «Allor ch’io penso», ecc., l’imagine della cosa amata multiplica il desiderio della vera; come avvenne ancora a quel tempo, perché del vedere la donna mia drento al mio cuore s’accese uno nuovo e maggiore desiderio della donna mia. E, perché pare impossibile che a tanto fuoco il mio cuore potesse resistere, che ardendo non si consumasse e divenisse cenere, si pone, per fare credibile queste maraviglie, il rimedio che non lasciava consumare il cuore, cioè la forza de’ sospiri, i quali, come abbiamo detto, naturalmente sono dal cuore generati per suo refrigerio ed esalazione contro alla suffocazione, che l’offende per il concorso degli spiriti vitali.

     Piú dolce sonno o placida quiete
giá mai chiuse occhi, o piú belli occhi mai,
quanto quel che adombrò li santi rai
delle amorose luci altere e liete.
     E mentre stier cosí chiuse e secrete,
Amor, il tuo valor perdesti assai:
ché l’imperio e la forza, che tu hai,
la bella vista par ti presti e viete.
     Alta e frondosa quercia, che interponi
le fronde tra’ belli occhi e’ febei raggi,
e sumministri l’ombra al bel sopore,
     non temer, benché Giove irato tuoni,
non temer sopra te piú folgor caggi,
da que’ belli occhi consecrata a Amore.

     Odorifera erbetta e vaghi fiori,
ch’ornate il prato come il ciel le stelle,
le dolcemente fatigate e belle
membra vedesti in mezzo a’ bei colori.
     Alto e dolce pensier suo, quanto onori
le cose di cui tacito favelle!
Oh me felice, che allor fui di quelle,
che ’l dice Amor, c’ha in pegno i nostri cuori!