Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/119

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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 113

e’ mi pareva cosa molto sopra li meriti miei, e mi pareva tanto maggiore per essere di umile loco in un tratto esaltato a tanto bene, e felicissimo sopra ogni altro per questo mi riputavo. Dovevo adunque per tutte queste cagioni temere e parermi quasi impossibile conservarmi lungo tempo in questa felicitá. Ed ancora che la costanzia e fede della donna mia non mi dessi cagione alcuna di dubitare, mi pareva ad ogni ora il core della donna mia, il quale in me viveva, perché Amore per pegno del mio me lo aveva dato, da me si volessi partire e lasciare di sé solo il mio petto. Facevami questo dubbio pensare di richiamare il mio core a me, pregandolo che tornassi, ma, essendo lui eletto a maggior bene, cioè per istare nel candido petto della mia donna, era fatto sí degno ed in tal modo insuperbito, che aveva in dispetto il petto mio, dove prima soleva stare, né tornare a me voleva. Io, credendo che di questo fussi cagione, perché lui avessi opinione di potere starsi nel petto della donna mia, proposi al cor mio, accioché tornassi, che, quando il core della donna mia non degnassi di stare piú nel mio petto, il petto suo similmente non degnerebbe di ricettare piú il mio core; e di questo poteva nascere che il cor mio a un tempo per elezione sarebbe privato del petto mio, e per necessitá di quello della donna mia, quando da lei fussi cacciato. Risponde il core a questo dubbio, che, quando bene fussi cacciato da lei, stará in luogo donde non potrá essere cacciato, cioè nelli occhi della donna mia; perché Amore e lei fanno che quelli occhi sieno comuni a ciascuno, essendo in quelli occhi non sospiri, non parole, non altro segno che proceda dal core, ma gli sguardi solamente della donna mia, i quali spesso ne diranno novelle a me del cor mio, perché spesso da me saranno veduti gli occhi suoi. È necessario intendere il naturale processo di questo sonetto, col quale queste amorose finzioni debbono quadrare. Nasce Amore allo amante e va nella cosa amata, e cosí prima si fugge il core dello amante alla cosa amata. Nasce di poi Amore reciprocamente nella cosa amata ed allora si fa la commutazione che abbiamo detto de’ cori. Nasce di poi la gelosia, vera miseria delli amanti, perché è tormento immortale; ed allora

Lorenzo il Magnifico, Opere - i. 8