Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/154

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148 iii - rime

vi

[Felice la terra ove dimora la sua donna.]


     Felice terra, ove colei dimora,
la qual nelle sue mani il mio cor tiene,
onde a suo arbitrio io sento e male e bene,
e moro mille volte, e vivo, l’ora.
     Or affanni mi dá, or mi ristora:
or letizia, or tristizia all’alma viene;
e cosí il mio dubbioso cor mantiene
in gaudi, in pianti: or convien viva, or mora.
     Ben sopra l’altre terre se’ felice,
poi che duo Soli il dí vedi levare,
ma l’un sí chiar, che invidia n’ha il pianeta.
     Io veduto ho sei lune ritornare
senza veder la luce che m’acqueta,
ma seguirò il mio Sol, come fenice.


vii

[La sua donna agli altri dá pace, a lui guerra.]


     Non potêr gli occhi miei giá sofferire
i raggi del suo viso sí lucente;
non poté la mia vista esser paziente
a qual vedea de’ duo begli occhi uscire.
     Ma par contra ragione s’io ne ammire,
perch’è cosa divina e sí eccellente,
che non patisce che l’umana mente
possa la gran bellezza sua fruire.
     Costei cosa celeste, non terrena,
data è agli uomini, superno e sol dono,
ed è venuta ad abitare in terra.
     Ogni alma, che lei vede, si asserena;
ed io per certo infelice pur sono,
che agli altri pace dá, a me sol guerra.