Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/163

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iii - rime 157

con le mie man li aiutai fare i lacci,
acciò che piú e piú servo mi facci.
     Uno augelletto o semplice animale,
se li vien discoperto
un inganno che certo35
si mostri turbator della sua pace,
tiene al secondo poi piú l’occhio aperto,
ch’è ragion naturale
che ognun fugga il suo male;
ed io, che veggo che m’inganna e sface,40
di seguir pur mi piace
la via nella qual veggio
il mal passato e peggio,
come s’io non avessi esempli cento.
Ma in tal modo ha spento45
Amore in me d’ogni ragione il segno,
ch’io non vorrei trovar rimedio o tempre,
che mi togliessi il voler arder sempre.
     Tanto han potuto gli amorosi inganni
e ’l mio martirio antico,50
ch’io non ho piú nimico
alcun d’ogni mia pace, che me stesso:
né cerco altro, o per altro m’affatico,
se non com’io m’inganni,
ed arrogo a’ mia danni,55
e chiamo mia salute male espresso.
Godo se m’è concesso
stare in sospiri e in doglia:
ho in odio chi mi spoglia
di servitú, e cerca liber farmi,60
e, vedendo legarmi,
parmi, chi ’l fa, dar libertá mi voglia.
Cosí del mio mal godo e del ben dolgo,
e quel ch’io cerco io stesso poi mi tolgo.
     Cosí Fortuna e ’l mio nimico Amore,65
tra speme oscure e incerte,