Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/165

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iii - rime 159

xvii

[La sua vita, avanti lieta, Amore ha fatta simile alla morte.]


     Non so qual crudel fato, o qual ria sorte,
qual avverso destin, tristo pianeta,
mia vita, che stata è, quanto dee, lieta,
ha fatto tanto simile alla morte.
     Amor sa pur che sempre stetti forte
piú ch’adamante, e s’è piú dura prieta:
se falsa opinion mio ben mi vieta,
par che senza mia colpa il danno porte.
     Ma non potrá crudel Fortuna tanto
essermi avversa, che soverchio sdegno
dal mio primo cammin mi torca un passo.
     Piú presto eleggo stare in doglia e in pianto
sotto il signor antico e ’l primo segno,
che sott’altri gioir, di pianger lasso.


xviii

[Combattono in lui Amore e Fortuna: né sa chi dalla lotta

uscirá vincitore.]


     Amor promette darmi pace un giorno
e tenermi contento nel suo regno:
rompe Fortuna poi ciascun disegno,
e d’ogni mia speranza mi dá scorno.
     Un bel sembiante di pietate adorno,
fa che contento alla mia morte vegno;
Fortuna, che ha ogni mio bene a sdegno,
pur gli usati sospir mi lascia intorno.
     Ond’io non so di questa lunga guerra
qual sará il fine o di chi sarò preda,
dopo tante speranze e tanti affanni.
     L’un so giá vinse il ciel, l’altra la terra
solo ha in governo: onde convien ch’io creda
essere un dí contento de’ miei danni.