Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/185

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iii - rime 179

xxxviii

[Vana visione della pietá della sua donna.]


     L’altèro sguardo a’ nostri occhi mortale,
che spegne ogni bellezza che ha d’intorno,
fuggito avea per prender d’alcun giorno
con Amor triegua, e tôr forza al suo strale.
     Quando Amor o la sorte mia fatale,
invida che al mio mal dessi soggiorno,
mio basilisco di pietate adorno
mostrommi: ah, contr’Amor null’arme vale!
     Nel tempo che da noi è piú distante
il carro che mal giá guidò Fetonte,
che ’l pensier vede piú quel che piú spera,
     deposto avea lo sdegno il bel sembiante,
e quel bel, che mancava alla sua fronte,
pietate aggiunse alla bellezza altèra.


xxxix

[«Vivo sol per brama di morire».]


     Io son sí certo, Amor, di tua incertezza,
ch’io mi riposo in non posar giá mai;
e veggo ch’io son cieco, e tu mi dái
di tua mobilitá ogni fermezza.
     Di dubbi e di sospetti ho sol chiarezza;
rido de’ pianti miei, canto i miei lai;
né pruovo altri piacer che affanni e guai,
o amar piú dolce o piú soave asprezza.
     E sol di mia oscuritate ho lume.
So ch’io non so voler quel ch’io pur voglio,
e spesso temo per superchio ardire.
     Secche ha le luci un abbondante fiume:
muto modi e desir pur com’io soglio,
e vivo sol per brama di morire.