Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/49

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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 43

     Portate a lei i miseri lamenti.
Ma, lasso! quant’è folle il mio disio,
ché ’l cor non vive sanza gli occhi belli.
     O occhi, refrigerio a’ miei tormenti,
deh! ritornate al misero cor mio:
Amor sol vadi e lui per me favelli.


Era giá per gli occhi miei discesa al cuore la imagine della bellezza di costei, e gli occhi suoi avevono fatto in esso tale impressione, che sempre gli erono presenti; ed Amore, il quale abbiamo detto sempre con loro abitava, se n’era ancora lui in compagnia di quelli occhi venuto; e il cuore per questo era di tante fiamme circondato, che gli pareva impossibile a sopportare l’affanno, che dal suo ardente desiderio nasceva. E, pensando quale migliore remedio potessi a questo male opporre, nessuna cosa gli occorse di maggiore efficacia che fare intender la sua dolorosa condizione e miserabile stato alla donna mia; la quale sola poteva, come sola cagione di tanta pena, sollevarlo. Pareva necessario in questo caso eleggere nunzio e messaggiero che avessi due condizioni: una che fussi grato a colei a cui era mandato, perché, avendo a riportare grazie, piú facilmente si poteva per mezzo di graziosa persona; l’altra che chi andava, oltra all’essere bene informato della miseria in che si trovava il cuore, fussi creduto da lei, acciò che la veritá della pena piú facilmente la movessi a pietá. E però fece il cuore concetto di pregare gli occhi della donna mia, i quali, essendo in lui, vedevano il suo grande tormento, che andassino a referirlo a lei; ed in compagnia di loro Amore, acciò che, multiplicati gl’intercessori ed il numero de’ testimoni del male suo, piú facilmente s’impetrassi grazia per questi graziosi messi: perché nessuno doveva essere alla donna mia o piú grato o piú creduto che Amore e gli occhi suoi medesimi. Erono testimoni quelli occhi, ed Amore con loro, della pena del cuore ed ancora della intera sua fede, non superata dalla grandezza de’ martíri. E credeva per questo il cuore che a lei dovessi essere noto lo stato suo, e, come nel processo del sonetto si vede, era in grande errore, perché, non potendo vivere il cuore sanza quelli occhi, ed essendo vivo quando mandava questi nunzi,