Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/167

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canto nono

Che un forte e secolare incubo, imposto
225Dalla paura al sonnecchioso Adamo!
Guai se si sveglia, guai! —
                                    Balzò a tal detto,
Come da repentino estro compunta,
La dea, che bruno e inanellato ha il crine,
E pallida, stupita, senza voce,
230Senza moto restò, tal che scolpita
Immagine parea. Sciolse ad un tratto
Al pianto insieme e alla parola il freno,
E, battendosi il petto: — Ah! disse, è vero,
Che Dio mi parla? E non è sogno il mio?
235Iddio tu sei? Desta e in me stessa io sono?
O tremenda parola, ahi! s’è pur vero,
Che udita io t’ho, che nel mio cor t’accolgo,
Tosto in fiamma ti cangia, e questa mia
Vuota sostanza incenerisci e annienta! —
240Poi riprendea: — Tu non sei Dio? Non sono
Opera di tua man questi diffusi
Mari di luce e questo ciel?
                                    — Tal suona
La fama, è ver; ma in verità, te’l dico:
Assai prima ch’io fossi erano i cieli. —
245— Ma la terra, ma l’uom? — — La terra è il loco
Del nascer mio: l’uom, già mio servo, è fatto
Di Lucifero alunno!
                                    — E a che dormenti
Lasci i fulmini tuoi? Già nel terrore
Terra e cielo avvolgeano.
                                    — Ha tal d’acciaro
250Il pensiero dell’uomo usbergo e scudo,
Che le saette mie sfida e dispregia!
Ahimè! vicino ai regni miei già miro
Torbidi sovrastar gli ultimi soli!



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