Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/287

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canto decimoquarto

Prende ’l cor dei Celesti alto sgomento.
    305Or tu, qual che tu sii, dèmone amico,
Ch’entro al cervello mio semini i forti
Carmi, a cui sol, più che ricchezza o nome,
Fieri conforti alla mia vita io chieggio,
Tu, poi che tanto il ricordar ne giova,
310Le più illustri rammenta, onde non sia,
Chi, nel dì sacro alla ragion del Vero,
Degli eroi del Pensier non sappia i nomi.
    Primi a tutti sorgean quanti fra un cieco
Gregge di paventose anime e l’ombra
315D’insofferenti età la fronte audace
Spinser, chiamando a mortal guerra Iddio:
Sdegnose alme ribelli, a cui stiêr contro
La terra e il ciel, gli uomini e i Numi, e nulla
Fede giovò, nè culto altro che il Vero.
320Duce e signor di questa schiera eletta
Empedocle insorgea, nome e decoro
Dell’antica Agraganto; e a lui da presso,
Come ad avvalorar la sfida antica,
Tu fiammavi tuonando, Etna superbo.
325Salute al foco genitor, salute,
Vecchio vulcano, a te! Fiammeggia e tuona,
Come in quest’ora ch’io ti guardo e canto,
O sepolcro di sofi e di titani;
Tuona, fiammeggia; ed alle sfatte genti,
330Ch’invide o ignare a noi drizzano il dardo
Del meschino epigramma, e ne dàn nome
Di selvatiche stirpi, una favilla
Gitta, in pietà, dell’incorrotte fiamme,
Che bollon nelle tue viscere, e a noi,
335Di lingua no, ma d’alma e di man prodi,
Superbamente ardono il petto: avranno
Forse vergogna di sè stesse allora
Che sentiran dentro alle fiacche vene



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