Pagina:Lucrezio e Fedro.djvu/143

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di Tito Lucrezio Lib. VI. 129

     Non può punto scaldarlo, allor che vibra
     1260Pien d’un tanto fervor l’etereo lume,
     Dì, come potrà cocer sotto terra,
     Che di corpo è sì densa, il freddo umore,
     E co ’l caldo vapore accompagnarlo?
     Massime quando a gran fatica ei puote
     1265Co’ gli ardenti suoi rai de’ nostri alberghi
     Penetrar per le mura, e riscaldarne?
     Qual dunque è la cagion? Certo è mestiero,
     Che intorno a questo fonte assai più rara
     Sia, ch’altrove, la terra, e che di foco
     1270Molti vicini a lui semi nasconda.
     E quinci avvien, che non sì tosto irriga
     La notte d’ombre rugiadose il cielo,
     Che il terren per di sotto incontinente
     Divien freddo, e s’unisce. Indi succede,
     1275Che quasi ei fosse con le man compresso,
     Spremer può tanto foco entro a quel fonte,
     Che il suo tatto, e il sapor fervido renda.
     Quindi tosto che il sol cinto di raggi
     Nasce, e smove la terra, e rarefatta
     1280Co ’l suo caldo vapor l’agita, e mesce,
     Tornan di novo nell’antiche sedi
     Del foco i corpi genitali, e in terra
     Dell’acque il caldo si ritira; e quindi
     Fredda il giorno divien l’acqua del fonte.
     1285In oltre il molle umor da’ rai del sole

            di Tito Lucr. Caro T. II.    I