Pagina:Lucrezio e Fedro I.djvu/164

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136 di Tito Lucrezio Lib. III.

     E’ nell’animo poi certo altro caldo,
     Ch’ei piglia nello sdegno, allor che ferve,
     E che per gli occhi torvi incendio spira:
     V’è del freddo timor compagna eterna
     425Molt’aura sparsa atta a produr nel corpo
     L’orror di morte, e concitar le membra:
     Ed evvi ancor quel placido e quieto
     Stato dell’aria, che dall’uom si gode
     Nel cor tranquillo, e nel sereno volto;
     430Ma viepiù di calor si trova in quelli,
     Che di cor son crudeli, ed iracondi
     D’animo, e facilmente ardon di sdegno:
     Qual sovra ogni altra cosa è la possanza,
     E il furor degl’indomiti Leoni,
     435Che gemendo e mugghiando orribilmente
     Squarcian tal volta il petto, e più non ponno
     In lor capir di sì grand’ira il flutto.
     Ma le timide Cerve han più ventosa,
     E più fredda la mente, e per le viscere
     440Concitan viepiù presto aure gelate,
     Che fan sovente irrigidir le membra.
     Al fin d’aria più placida, e tranquilla
     Vive il Gregge arator, nè mai soverchio
     Dell’ira il turba la sfumante face,
     445Di caligine cieca ombre spargendo;
     Nè mai dal telo del timor trafitto
     Gelido torpe; ma nel mezzo è posto