Pagina:Lucrezio e Fedro I.djvu/36

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8 di Tito Lucrezio Lib. I.

     Versi l’oscure invenzioni; essendo
     Massime di mestier, che di parole,
     180Spesso nuove io mi serva: a ciò costretto
     Sì dalla Lingua mia, che della Greca
     Viepiù scarsa è di voci, e sì da quelle
     Cose, ch’io spiegar tento che null’altro
     Spiegò giammai nell’idioma nostro.
     185Pur nondimen la tua virtude è tale,
     E lo sperato mio dolce conforto
     Della nostr’amistà, ch’ognor mi sprona
     A soffrir volentieri ogni fatica,
     E m’induce o vegliar le nott’intere
     190Sol per veder, con quai parole io possa
     Aprire innanzi alla tua mente un lume,
     Talchè le cose occulte a pien ti mostri.
Or si vano terror, sì cieche tenebre
     Scuoter bisogna, e via scacciar dall’animo
     195Non co’ bei rai del Sol, non già co’ lucidi
     Dardi del giorno a saettar poc’abili,
     Fuorchè l’ombre notturne, e i sogni pallidi;
     Ma co ’l mirar della Natura, e intendere
     Le ignote cause, e la velata immagine.
     200Tu, se di conseguir ciò brami, ascoltami.
Sappi, che nulla per divin volere
     Può dal nulla crearsi, onde il timore,
     Che quind’il cor d’ogni mortale, ingombra,
     Vano è del tutto; e se tu vedi ognora