O mar, gloria di Dio, su cui la danza
Ride degli astri, quando tutto imbruna,
Su cui cammina in trionfal sembianza
L’antico sole e la notturna luna;
Spalancato alla morte e alla speranza,
Campo di tradimento e di fortuna.
Maraviglia e terror di questa creta
Che, come l’onde tue, mai non si cheta.
Tu vedesti passar sopra il tuo dorso
I secoli, e perir, splendidi o rei;
Sfarsi le flotte, e spegner gli astri il corso:
E splendi eterno, e immenso ti ricrei.
L’Onnipotente che ti pose il morso,
Disse di te — tu la mia gloria sei! —
O mare, o mar, veracemente sveli
La man che ha steso come tenda, i cieli!
L’uom, dotto istinto o cupido lo attiri,
S’innamora di te, vecchio Oceàno!
Nè, se fra i gorghi il mercator ti spiri,
Mancano vele al tuo funereo piano.
Là, presso i poli, il cercator tu miri,
Che poi non torna col promesso arcano:
Tu l’uom distruggi, e con sue carni stesse
Nutrì le perle, ond’ei la vesta intesse.
Terribil sei, nè può mutar tue norme
Amor di donna o di poeta i canti.
E nel freddo tuo flutto Ero che dorme
Non ti fe’ pio della gran Saffo ai pianti.
Te non perturba gemito di torme,
Non tonfi o vampe di vascelli infranti;
Nè ti fe’ più gentil l’ombra di Gama
Al Cantor lusitano e alla sua fama.