Pagina:Maffei - Verona illustrata I-II, 1825.djvu/57

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libro primo 27

da Veneti, altra grandissima pruova ne dà tuttora il linguaggio dell’una e l’altra, e la somma diversità di pronunzia e di troncamenti, e le contrarietà d’accenti e di suoni, e il ritenere i Bresciani ancora non so qual Gallicismo, uniformandosi co’ dialetti di Bergamo e d’altri Lombardi: dove i Veronesi hanno la favella ed il suono istesso di Vicenza e di Padova, che n’è sì alieno. Questo per verità è un testimonio sensibile e ancor presente; certa cosa essendo che i nostri odierni dialetti non altronde si formarono, che dal diverso modo di pronunziare negli antichi tempi, e di parlar popolarmente il Latino; la qual diversità non altronde nasceva, che dal genio delle varie lingue che avanti la Latina correvano, vestigio delle quali restò pur sempre, ed è quasi indelebile. Però disse Livio (lib. 37) che Marsiglia colonia de’ Focesi ne riteneva ancora dopo tanti secoli l’accento nella favella, e che i Reti Alpini, trasformati a suo tempo interamente per l’orridezza dei luoghi, ne ritenevano però ancora nella lingua il suono (lib. 5: nequid ex antiquo praeter sonum linguae, ec.). Osservò anche Platone (de Legg. lib. 4: ὁμόγενος φωνον) come le colonie son gente unilingue. Come potrebbe dunque essere avvenuto che se fosse Verona colonia de’ Galli, niun vestigio ritenesse de’ dialetti e de’ suoni a’ discendenti da Galli rimasi, ma alla favella della parte di qua verso il mare, qual era di lingua certamente diversa, poichè lo dice espressamente Polibio (lib. 2) fosse in tutto uniforme? Indizio di tal diversità traspira anche dai