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138 ricordi delle alpi.


I militi della guardia nazionale di Fusine stanno ponendosi in ordine per la partenza, chè la sera s’avanza ed è ora di mettersi in viaggio. Chi vuota l’ultimo bicchiere, chi infila il camiciotto e chi afferra il suo schioppo: ve n’ha ancora che ostinasi a finir la partita delle boccie giù nella spiazzata, e chi trincando allegramente non se ne dà per inteso, mentre odesi chiamare ad alta voce i più distanti per fare la radunata. Gli ufficiali della compagnia invece di dar bell’esempio continuano a giuocare alla mora con indiavolata persistenza; e, se devo dire il vero, c’è un chiasso di casa del diavolo. È una fratellevole cordialità, un’allegria non fuori dei gangheri: sulla lunga tavola vedi litri, bicchieri e piatti ancor provveduti di bellissime frutta; ma non è difficile capire, che, se qualche capannello vorrebbe allestirsi per finirla, la maggior parte ama tirarla per le lunghe e lasciar che il fresco della sera più s’avvicini.

Ci troviamo a destra della sala, nell’angolo, e andiam barattando parole con una brigatella dirimpetto, nostre conoscenze, che pur esse pigliano gusto al buon umore che si va, direi, diffondendo all’intorno.

— Ehi, qui, padrone, del vino!

— Basta, per ora, amici, l’ora si fa tarda.